Ogni sabato pomeriggio, si andava dalla nonna in campagna. Nonna coltivava primizie, ortaggi sotto serra. Poi, rientravamo a casa pieni di tutto quello che c’era di buono nei campi, ma solo a me nonna Maria, regalava ogni volta, un pacchetto di pasta, gli “stortini”. Se li faceva comprare di proposito per ragalarli a me. Quindi, non dolciumi, ma pasta per la sua prima nipote; io avrò avuto circa quattro anni.
Durante la settimana, invece, spesso mi mandavano dall'altra nonna,
quella di città. Per inciso, mio padre, che aveva uno spiccato senso dello
humor, parafrasando la favola del topo di campagna e del topo di città, ci aveva insegnato a chiamarle in questo modo. E dunque, andando dalla nonna di città, spesso mi portavo dietro la pastina della
nonna di campagna, perché pretendevo di cucinarla nella sua cucina. I nonni, soprattutto nonno
Giovanni, soprintendeva e me lo consentiva. Così, in piedi sulla sedia, imparavo i primi rudimenti della cucina. Innanzitutto, nonno mi portava a scegliere qualche pomodorino dal piennolo appeso fuori al balcone (di fianco a quello delle sorbe); una volta scelti i pomodorini rossi, questi venivano lavati ed io, già
pronta in postazione, li schiacciavo e mettevo in un pentolino d’alluminio piccolo
piccolo, ma vero. Con due dita d’acqua, un filo d’olio ed il sale, si andava ad
iniziare la cottura. Intanto che bolliva, preparavo la pasta, tre cucchiai
di stortini, tutt'al più di tubettini. E
potevano pure essere le undici del mattino, appena pronto, volevo mangiare.
Quando poi, mi mandarono all'asilo, cominciai piccolissima, spesso
rientravo con le tasche del grembiulino
piene di pasta cotta. Interrogata sulla circostanza, rispondevo che mettendola
in tasca, la potevo mangiare con calma e quando volevo.
Ora che tutti i protagonisti di questi ricordi non ci sono più, sto facendo il giudice in un contest di cucina, dove viene richiesto di abbinare un piatto di pasta, al racconto di un ricordo ad essa legata. Ed è per questo che ho voluto raccontare. I miei stortini al
pomodoro, che nel frattempo sono diventati stivalettini, li ho preparati proprio come avrebbe fatto Marietta a casa di nonni, cinquanta anni
fa.
Pensando di reinterpretarli ed interrogandomi su come li avrei potuti preparare oggi, ho messo a punto quelli che seguono: sulla base del piatto fondo, sugo caldo, mozzarella e basilico; poi la pastina risottata nel sugo di pomodorini del piennolo; a finire, mozzarella gelata grattugiata e qualche fiorellino di basilico.
Infine, citando i versi di Buongiovanni- Bovio “Lacreme napulitane”, “Mo’ tengo quacche dollaro, e mme pare ca nun só' stato maje tanto pezzente” (comm’è amaro stu ppane).
ti ho visto in cucina
RispondiEliminabambina
in piedi su una sedia
che schiatti pomodorini
😍